Eccesso di riflessione

Si sentì un tuono. Poco prima una luce aveva illuminato per un breve tratto la notte limpida. L’aria elettrica e scintillante, amava i temporali tanto quanto le giornate di sole. L’energia trasmessa da un fulmine che spacca l’aria ricarica come una bella dormita. L’adrenalina data dall’istintiva e primitiva paura. Stava scrivendo seduto alla scrivania di mogano ma non aveva idee. Non è che non le avesse in assoluto. Ogniqualvolta cercasse di metter giù i pensieri in parole, le splendide immagini che aveva in mente gli apparivano insignificanti e non degne di nota. Quand’anche avesse avuto l’ardire di buttar giù due righe, sarebbe stato più per svuotare la testa che per riempire una storia.
Avrebbe voluto scrivere di un pirata gentiluomo di nome John, astemio tanto per cambiare. Avrebbe voluto scrivere di come riusciva a cavarsela sempre, anche nelle situazioni peggiori, uscendone con battute ed innata eleganza. In tutto questo farfugliare di idee aveva però fatto una scoperta: un libro non va scritto dall’inizio. Va scritto come un puzzle, insieme vanno prima i pezzi che sembrano combaciare, in seguito si mettono in ordine i frammenti.
Se io volessi scrivere a proposito di uno scriba indiano e del suo colloquio con l’imperatore, dovrei farlo senza pensare a come un umile scriba si sia guadagnato la sua attenzione, né al fatto che in india non ci sia forse mai stato un imperatore in senso stretto, né tantomeno a che cosa sia uno scriba indiano….

Rehm entrò nella sala imperiale. Si muoveva con estremo impaccio, guardandosi intorno. Non era usuale che un ospite mostrasse tale curiosità, nemmeno era permesso a dirla tutta. L’imperatore chiuse un occhio perché quella curiosità, denunciata dagli occhi del ragazzo, era il reale motivo di quell’incontro. Lo scriba notò di sfuggita Sua Altezza e si impietrì. Non ne aveva avvertito la presenza, ecco spiegata la sua esuberanza.

“Sua Maestà, mi perdoni…” – cercò di scusarsi il ragazzo.

“Non importa” – tagliò corto l’imperatore.

Tutto in lui dimostrava autorità. La voce profonda di chi ha tenuto mille discorsi ed il volto scavato dalle rughe di incombenti preoccupazioni. Non c’era severità nel suo sguardo ma paterna comprensione, forse un accenno di simpatia per quel corpo estraneo ai manierismi di corte.

“Sai perché ti ho convocato, giovane scriba?” – proseguì Bazeet.

“No, Sua Maestà” – rispose il ragazzo mentendo.

Sapeva esattamente cosa aveva fatto e sapeva che sarebbe stato punito, era tuttavia sorpreso che l’imperatore in persona si preoccupasse di punire il cosiddetto “eccesso di riflessione”. Rehm si sarebbe aspettato qualche frustata da un funzionario sbrigativo, al massimo l’impiccagione comune ai detenuti in esubero. Un colloquio imperiale era francamente oltre ogni sua aspettativa. Il sovrano non sembrava arrabbiato.

“Accomodati” – disse con gentilezza.

Rehm si mosse piano, ammirando con la coda dell’occhio quella splendida sala in pietra. I suoi passi risuonavano tra gli arazzi, le statue votive e i tesori ammucchiati sulle pareti laterali. L’imperatore si ergeva sul trono in fondo alla sala ed indicava uno scranno appena sotto la scalinata imperiale. Il ragazzo si sedette, la sedia era molto comoda.

“Dunque non sai perché sei qui?” – l’imperatore lo squadrò con aria sospettosa e divertita al contempo.

“Proprio no” – rispose secco lo scriba, affrettandosi ad aggiungere – “Sua Maestà”.

“Tu sei pagato per ricopiare manoscritti e documenti” – cominciò il sovrano – “è un buon lavoro, ben retribuito”.

“Di questo la ringrazio, Sire” – lo interruppe Rehm.

“Sì, sì figliolo ma non è questo il punto” – proseguì il sovrano, un po’ indispettito per l’interruzione – “tu sei pagato per ricopiare, non per pensare” – aggiunse infine. “Mi è stato riferito che tu abbia scritto qualcosa di nuovo durante l’orario lavorativo”.

“Ci siamo” – pensò il ragazzo – “sarò punito”.

“Ora rispondimi, hai scritto tu quelle quarantasei righe e diciannove parole?”.

“No” – mentì lo scriba.
Per oggi basta così, lo scrittore alzò la penna dal foglio. Aveva smesso di tuonare.
Ormai gli stormi si alzavano in volo per salutare le prime luci dell’alba e la quiete dopo la tempesta.