Che colore?

Si svegliò di soprassalto. Si era addormentato contando, nel suo letto, le pieghe della coperta. Aveva perso il conto una decina di volte o forse di più. Aveva perso il conto di quante volte avesse perso il conto. Ma ora era sveglio. Si sentiva intontito, quindi aveva dormito troppo o troppo poco; cercò la sveglia con la mano, ma non la trovò.
Era solito dormire nel buio più assoluto, ma anche in queste condizioni la sua mente era in grado di dipingere forme indistinte.
Era inquietante quanto quel buio fosse pieno di figure. Qualche filosofo pedante potrebbe affermare che siamo soliti ragionare per differenze e che in realtà le figure, le immagini che vediamo, siano “scalpellate” dalla luce ed estratte da un “blocco di buio”.

Ora quel blocco di buio purissimo gli stava davanti e sembrava tremendamente pesante. Trovò finalmente la lampada a tentoni e luce fu. Non era la sua stanza, questo già lo turbava, ma ad occhio e croce non si trovava nemmeno a casa sua.
Tutto era a tinte pastello. La tappezzeria era a strisce bianche e viola e nel resto della stanza venivano ripresi gli stessi colori. Tutto era fastidiosamente “in tinta”.

Era ancora intontito e lo shock della luce sugli occhi, abituato com’era al buio, appariva anche più forte della sorpresa di trovarsi nella fantasia di un negoziante di caramelle che nel weekend si dilettava a fare il tappezziere.

Prima di alzarsi decise di guardarsi intorno ancora un po’ e di cercare di ricordare: «Dunque» pensò «la cassettiera viola non è di certo mia, tanto meno l’appendiabiti indaco». Così non sarebbe arrivato da nessuna parte. Doveva alzarsi. Si sentiva pesantissimo, come di piombo. «Dev’essere un sogno » si disse «se fosse il mio sogno» proseguì «dovrei potermi svegliare, dovrei poterlo controllare».
Testò questa ipotesi concentrandosi sulla piccola palla a pois che giaceva ai piedi del letto. Non si mosse di una virgola.

«Niente da fare, questa è la realtà» concluse.

Finalmente si alzò e iniziò a vagare per quella casa sconosciuta. I corridoi erano lunghi e stretti ma avevano un’aria familiare e gli pareva di percorrerli a memoria. Diverse porte si affacciavano su altrettante stanze colorate, con il medesimo stile della prima. Qua e là si presentavano strisce ora bianche e gialle, ora bianche e blu e talvolta perfino bianche e rosse.
Giunse così in una sala completamente bianca, in piena costruzione. La stanza era popolata da muratori e falegnami che si adoperavano in lungo e in largo. Appena lo videro, scattarono sull’attenti ed alcuni si inchinarono. L’uomo che aveva tutta l’aria di essere il più anziano gli si avvicinò cauto, con la paura negli occhi.

«Finalmente si è svegliato, signore» disse con deferenza «non avremmo certo potuto continuare senza il suo consenso».

«Ora a lei spetta la decisione più importante, a lei l’onore» una vocina spuntò da dietro l’anziano muratore.
«Fondamentale, fondamentale sì!» gli fecero eco gli altri.

Egli guardò tutti quegli uomini adulanti, attonito. Le uniche parole che riuscì a sbiascicare furono «Che…Che decisione?». I muratori e i falegnami lo chiusero in un cerchio, lo guardarono con occhi vispi e grandi sorrisi. All’unisono si strinsero e chiesero «Questa, di che colore la facciamo?».

Giacomo Notaro