La madeleine

In questo articolo vorrei restituire un’immagine, un’immagine presa dalla conclusione del primo capitolo del primo libro della Rechèrche di Proust. Ci sono diversi motivi per conservare questo elemento nella parte più profonda del nostro cuore, ma il più importante è che rende consistente e palpabile una sensazione, comune a tutti gli uomini, con straordinaria efficacia ed incomparabile poeticità. L’indicibile difficoltà di parafrasare uno dei momenti più elevati della letteratura è eguagliata soltanto dall’intensità della sensazione di stare compiendo un terribile sacrilegio, e l’unico motore della mia azione resta la paura che, per pigrizia, arrendevolezza, inconsapevolezza o semplice ignoranza, esso rimanga ignoto ai più.
L’obiettivo di Proust durante tutta l’opera è quello di ricostruire con sottile precisione e fine bellezza le sensazioni di una vita intera. Nel corso di tutto il primo capitolo lo scrittore sembra confinare la narrazione all’interno delle mura della casa dei nonni a Combray, quasi non riesca a ricordare il paesaggio intorno alla roccaforte dei ricordi d’infanzia.  La cittadina sembra bloccata nella sua mente ed egli cerca di accedere a quelle memorie che sembrano sfuggirgli. È qui che si colloca quell’immagine di straordinaria leggerezza e di incredibile potenza.
Proust richiama a sè l’antica usanza ricreativa giapponese di immergere in una ciotola di porcellana colma d’acqua dei pezzetti di carta arricciati, i quali una volta bagnati si distendono e si schiudono prendendo la forma e i colori di figure definite, come fiori, edifici e figure umane. Egli riferisce come una sera d’inverno, tornando a casa, avesse accettato, infreddolito, da sua madre una tazza di te con delle madeleines, e dopo aver provato il sapore del dolcetto, intinto nell’infuso e morbidamente inumidito, gli fosse balenato in mente che sua zia Leonie era solita offrirgli lo stesso dolcetto intriso nella medesima bevanda calda ai tempi dei soggiorni a Combray. Questo minuscolo legame sblocca, in qualche modo, la memoria di Proust e proietta l’artista nella propria infanzia. Questo processo di ricostruzione dei ricordi riguardanti Combray, tramite l’assaggio del dolcetto intriso, è descritto con maestria e paragonato allo schiudersi dei pezzetti di carta della tradizione giapponese; come sagome ben distinte di edifici e persone si dischiudono dai pezzetti accartocciati immersi nella ciotola colma, così i ricordi del giovane Proust riaffiorano nella mente dello scrittore, ormai maturo, ed emergono, in qualche modo, dalla tazza di tè. 

Giacomo Notaro